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Il confine dei sensi

Riqualificazione degli ex-gasometri di San Francesco della Vigna

#sensorialità

Il confine dei sensi
Copyright © Leila De Munari, 2025

Autrice: Leila De Munari
Anno: 2025
Università: Università IUAV di Venezia
Dipartimento: Architettura
Livello: Tesi magistrale
Lingua: Italiano

Un viaggio che prende avvio con le parole di Juan Gallego Benot, autore di La Ciudad sin Imágenes, un libro dalla forma semplice ma dal significato profondo. Un punto di incontro tra il mondo dei vedenti e quello dei non vedenti, che solleva una domanda radicale: come si può percepire una città senza poterla vedere? Ciò che comunemente definiamo “bello” si riduce spesso a un appagamento visivo. Ma forse la bellezza, intesa come archetipo, trascende la vista e si manifesta attraverso quei sensi troppo a lungo silenziati dal dominio dell’occhio. Una bellezza che si lascia toccare, ascoltare, assaporare, annusare.
Riconsiderare il mondo, dalla scala urbana a quella del dettaglio architettonico, significa reimpostare il progetto secondo nuove coordinate sensoriali. Progettare spazi pensati per ciechi e ipovedenti diventa una sfida imprescindibile, capace di mettere in discussione l’estetica tradizionale. In questo contesto emerge un’estetica non visiva, fondata sull’intensità della luce, la propagazione del suono, la memoria olfattiva e, soprattutto, la tattilità dei materiali. È lecito domandarsi: cosa significa progettare a partire da questi elementi? È possibile avviare un processo progettuale senza porre la vista come punto di partenza? Proviamo a trattare il verbo “vedere” come accessorio, in un contesto dove la visione non è più il criterio primario ma, semmai, un esito secondario. L’architettura non è pensata per essere guardata, ma per essere vissuta.

Progettare per chi non può vedere significa confrontarsi con una sensibilità diversa, più acuta, che rende protagonisti i sensi solitamente marginali. Se nell’esperienza sensoriale dei vedenti l’80% delle informazioni passa attraverso la vista, quel restante 20% – fatto di suoni, superfici, odori e micro-percezioni – costruisce comunque un’immagine spaziale, emotiva, viva. Anche per chi vede, questi sensi minori contribuiscono a generare un “sentire” complessivo dello spazio, capace di evocare emozioni profonde. La mancanza di abitudine a un uso consapevole di tali sensi genera però spaesamento, rendendo alcuni luoghi misteriosi, quasi imperscrutabili.

Le proprietà sensoriali dell’architettura possono essere accostate alla struttura narrativa di un romanzo. Ciò che vediamo è la parola scritta, la pagina. Ma il senso profondo del racconto – la sua trama – emerge solo attraverso uno sguardo d’insieme e l’attenzione ai dettagli più sfumati. Ogni materiale, ogni suono, ogni odore è parte di una composizione complessa, dove nulla è casuale. E come nella letteratura, anche in architettura la superficie cela significati che si rivelano solo a chi sa ascoltare.

Questa ricerca nasce da una curiosità autentica, dal desiderio di esplorare un mondo che non ha colori, ma ha profumi; che non ha forme, ma possiede trame. Un universo percettivo che trova in Venezia il suo punto di partenza: città unica, fragile e affascinante. Com’è vivere Venezia – considerata tra le città più belle al mondo – senza poterla vedere? È ancora lecito definirla “bella”? Vivere Venezia è già di per sé un’esperienza intensa per chi non la abita; viverla senza la vista sembra un’utopia. Eppure, forse, proprio in questa condizione si svela il vero confine dei sensi. Fino a dove può spingersi?

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